io vivo in un mondo pieno di gente che finge di essere quella che non è, ma quando parlo con te sono come voglio essere

giovedì 25 aprile 2013

Lu vinu

U VECCHIU E U VINU                                                                                                                                         

Parrandu nu vecchiu c’u vinu
…nci dissi: “ mi mbriacasti!
Cù nu biccheri..mi futtisti!
U vinu nci rispondiu: “ Sta zittu!
Non parrari!
Cà ti mbivisti nu biccheri e dù bucali.
U vecchiu si rridiu sutta i mustazza
e.. nci dissi: “ Non tu negu””
u primu era mi t’assaggiu lu sapuri
e l’autri dui mi mi iettu nta lu mari.
Sù vecchiu..chi campu affari.
U vinu nci rispundiu:
“ Ti stancasti tu, cù du bucali ?
Allura eu intra a sta butti
chi ndaiu a diri,
cà mi sentu i visciri buggiri;
Però si tu ti iinchi
nu biccheri o jornu,
ti fazzu mi ti senti
nu leuni.




                                                                                    

A santu Martinu si rapanu i vutti e si prova lu vinu,
pu pane e pu vinu si cancia u vicinu,
'U mangiari senza 'mbiiviri è cumu u nuvulato senza chiòvari.



In questi ed altri detti e poesie mi sono imbattuta andando a rimettere a posto alcune fotocopie usate anni fà in un corso che frequentai. Ma quella che più mi ha colpito è stata questa, di cui ho dovuto andare a cercare il senso : 'a trigghia   no 'a mangia 'cu a pigghia  (la triglia è così pregiata che chi la pesca la rivende per guadagnare qualcosa).

Nel caso del vino io sono stata da bambina un po' come quel pescatore.

Il giorno della vendemmia andavamo a casa dei nonni materni, per assistere e partecipare a quell'antico rito tradizionale.
Di buon mattino le donne del vicinato avvertite nei giorni precedenti, si davano appuntamento nei campi, munite di sporte e coltello. 
Gli uomini adulti  erano al lavoro altrove, restavano invece a dare una mano i giovani di casa, ovvero i miei zii.
Alle donne ingaggiate era stato preventivamente raccomandato di non presentarsi se avessero avuto il ciclo, poichè per una antica credenza " 'i fimmini cu marchisu fannu 'u vinu acitu".
A noi piccoli era vietato raccogliere l'uva dai filari, dovevamo raccattare da terra gli eventuali acini che si staccavano dai grappoli, ci annoiavamo presto, anche dopo aver convinto qualcuno a farci provare a fare il lavoro dei grandi.
Poi il nostro gioco diventava correre  per i filari ad assaggiare le varie qualità d'uva. C'era quella aspra che lasciava la lingua incollata, quella piccola e zuccherosa, la bianca  al gusto di mela e la fragolina che piaceva a tutti.
Mentre i grandi andavano su e giù con le grosse sporte portate in equilibrio sulla testa dirette alla cantina (parmientu), noi ormai sazi, di nascosto ingaggiavamo una battaglia di proiettili aromatici, strizzanto tra le dita gli acini per far fuoruscire la polpa. 
Alla fine se qualcuno ci avesse leccato avrebbe ritrovato il sapore di tutte le uve piantate nei campi, più altre, che grazie ai miscugli di aromi si erano create. Quando il sole iniziava a seccare i succhi d'uva di cui eravamo impasticciati, grattarsi diventava un esigenza come la corsa verso casa per lavarci.
La cucina di nonna odorava sempre di buono, anche se non avevi fame ti veniva voglia di mangiare.
Vedendoci arrivare, tirava giù dalla paniera (un trabiccolo di legno appeso al soffitto) una pagnotta ed iniziava ad affettarla, ci passava sopra un pomodoro maturo, un pizzico di sale e tanto olio di oliva. Quel pane aveva il sapore del sole di luglio e il gusto dolce e salato del mare di agosto.
Le cose più buone della mia vita le ho mangiate in quella casa, il formaggio fatto col latte appena munto, ancora caldo e fumante, prima di essere messo nella formella fatta da giunchi essiccati, i pomodori colti dalla pianta e mangiati dopo averli strusciati sull'orlo del vestito, le pesche gialle e sode che ho scoperto piacevano anche alle api, perchè una volta cogliendone una ho ricevuto una puntura che mi ha fatto frignare per ore, e non per ultimo il mosto.
La magia del mosto, la sua nascita e la sua metamorfosi è stata una cosa che lasciava stupiti noi bambini.
Le donne cariche delle sporte colme d'uva arrivavano in cantina e le rovesciavano nell'enorme vasca di cemento, dove allegri e con aria di quelli che stavano facendo un lavoro importante c'erano i miei zii. A supervisionare il tutto dividendosi tra cucina e cantina c'era mia nonna, era praticamente un colonnello non le sfuggiva mai niente, come quando ha pescato l'ultimo dei figli entrare nella vasca a piedi nudi senza esserseli lavati nel secchio che aveva preparato all'uopo.
A cosa servisse che lavassero i piedi non lo saprei, visto che l'uva raccolta non veniva lavata. Spesso oltre la polvere, alcune ragnatele,  forse anche qualche ragno, si potevano scorgere anche quelle che sembravano cacche di uccelli.
Tutte cose naturali, non come i pesticidi di cui oggi è ricoperta ogni cosa che mangiamo.
A turno zii permettendo entravamo anche noi nella vasca a piedi nudi per pigiare l'uva, ma resistevamo poco, i grappoli pungevano i nostri piedi delicati, così a malincuore dopo aver saltellato un poco, sopra quella massa gustosa, restavamo a guardare mentre piano piano il liquido prima chiaro poi sempre più scuro riempiva la vasca.
Non appena ci veniva dato il via attaccavamo a riempire i nostri bicchieri col mosto appena munto. Lo assaporavamo piano, lasciando che la bocca si riempisse quel tanto che bastava per farlo girare dentro come fosse un colluttorio, a quel punto si mandava giù, si schioccava la lingua e si andava in paradiso. Era dolce, profumato, con un retro gusto leggermente amaro ma piacevole, era come mangiare una caramella mou, ma col brivido della trasgressione, poichè quel giorno anche noi bevevamo il nostro vino.
Il sapore più buono però il mosto lo acquistava nei giorni seguenti, quando iniziava a fermentare.
Allora berlo iniziava ad essere una cosa da grandi. 
Il dolce andava man mano a cedere il posto ad un sapore più duro, quasi acidulo a me ricordava le caramelle alla soda, infatti anche il mosto era frizzante, ti arrivava in bocca ed era come se milioni di bollicine d'aria stessero facendo uno spettacolo pirotecnico fino giù nella gola.
Se ne bevevi tanto  lo spettacolo continuava anche nella pancia, ma dopo alcune ore i fuochi d'artificio si trasformavano in lingue di fuoco pestilenti, facevi dei rutti che sapevano di uova marcia. Non potevi neanche lamentarti perchè ti avevano avvisato.
Poi arrivava il giorno in cui dovevi dare l'ultimo saluto a quel mosto che finiva nelle botti, che non avresti più rivisto ed assaggiato. Dopo un po' sarebbe diventato vino. 







Questo racconto partecipa all'EDS ipogeusia della donna Camel


Altri partecipanti:

Dario
Hombre
Cielo
Singlemama
Melusina
La donna Camel
Dario
Effe

18 commenti:

  1. Hai fatto bene a portare il vino, il vino ci vuole. Sai che anch'io da piccola andavo alla vendemmia? Dai parenti materni in Piemonte, con tante vigne e ottimo rosso corposo. Belle immagini le tue, Lillina. E grazie per i ricordi.

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    1. Ma a te facevano pigiare l'uva?
      Condividere certi ricordi con voi è un piacere :-)

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  2. Descrizione bellissima, direi commovente nella sua spontaneità.
    Profumi, gusti, costumi, persi nel tempo, restano nella memoria di chi li ha vissuti, e pochi ricordi di quei tempi sono così coloriti e dolci come il qui descritto della vendemmia.
    Resta, irrisolto, il dubbio su quel lavaggio di piedi richiesto prima del pestaggio; forse era parte di una tradizione secolare, tramandata senza il bugiardino delle istruzioni.
    Ciao.

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    1. Eh pietro vallo a sapere perchè si dovevano per forza lavare i piedi...forse nonna temeva fossero più sporchi dell'uva.
      Hey ma tu non ci avevi promesso di partecipare ad un EDS?

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  3. "Alla fine se qualcuno ci avesse leccato avrebbe ritrovato il sapore di tutte le uve piantate nei campi" :-)

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    1. Mi piace il tuo modo di commentare riportando la frase che ti è più piaciuta.

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    1. Grazie, anche per avermi ricordato di passare da te...ultimamente sono un po' distratta da altro

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  5. Che roba: non ho mai conosciuto nessuno che avesse pigiato davvero l'uva con i piedi, di persona: credevo fosse una leggenda! E invece si vede che è vero, si capisce da come lo racconti e dal fatto che i graspi pungono, nell'iconografia contadina che mi facevano studiare alle elementari questo effetto collaterale non era citato :-)

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    1. Oddio io sono la prima ? Sono la tua quasi leggenda allora! ihihihih pungono mi ricordo bene!
      Sai che ora sono anni ed anni che non solo non bevo il mosto ma che non vedo vendemmiare ne i parenti ne i vicini?

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  6. Ricordo il sapore del mosto come quello del latte appena munto. Sapori genuini ma il ricordo dell'infanzi li rende più buoni. Vorrei che anche mia figlia potesse vendemmiare e pigiare l'uva

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    1. Bene allora anche tu da piccola hai avuto la fortuna di vivere certe esperienze! Purtroppo penso che per i bimbi di oggi sia sempre più difficile farlo.

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    2. Difficile ma non impossibile...

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  7. M'hai ricordato la mia infanzia, ho visto tanto di me nel tuo racconto... ne ho quasi risentito gli odori.

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  8. Pigiare l'uva coi piedi: fatto. Dagli zii, anch'io.
    Bella cronaca che davvero riporta ai nostri di ricordi... Fantastico anche l'incipit in dialetto.
    Di casa mia, quella contadina, mi porto più dentro l'odore fresco della tinaia e il sapore dell'acquerello.

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    1. Ecco mi hai tolto l'alone di leggenda pigiando anche te l'uva coi piedi, ora Bianca può crederci,è proprio vero!
      Grazie per i complimenti maestro!

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Ho messo la moderazione non per censurarvi, ma solo perchè voglio essere la prima a leggere i vostri commenti una sorta di ius primae noctis.
L'ho messa anche perchè siccome non controllo quasi mai le mail, se qualcuno vuole mandarmi un messaggio privato ha la certezza che lo legga, nell'altro caso a volte passa pure un mese prima di...
Ciao a tutti, se non vi piace sappiate che a me non importa un fico secco.